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Finanziamenti soci: presunzioni del fisco

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Sui versamenti effettuati dai soci per finanziare le società, situazione che nei tempi attuali si verifica con una maggiore frequenza in virtù di una situazione economica difficile, si è detto molto e molteplici sono le interpretazioni.  Oggi vogliamo occuparci di un caso in cui si presuppone l’onerosità dei finanziamenti semplicemente con la rinuncia agli utili; un caso emerso  dalla  recente sentenza n. 17839 la Corte di cassazione che ha legiferato nel senso che:

la rinuncia all’incasso degli utili realizzati configura l’esistenza di un finanziamento fruttifero che legittima la rettifica del reddito e la rideterminazione dell’imposta dovuta

La presunzione di onerosìtà sui versamenti effettuati dai soci sarebbe superata soltanto  nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, cioè dimostrando che dai bilanci o dai rendiconti delle società finanziate emerga che il versamento è stato fatto a titolo diverso dal mutuo.

La sentenza si basa su una verifica della  Guardia di finanza in  cui era stato appurato che i due soci titolari della società avevano rinunciato a incassare gli utili dal 1994 al 2000. La rinuncia agli utili e la mancata destinazione a riserva era stata interpretata dalla GdF come un finanziamento indiretto dei soci stessi a favore della società e pertanto era stata contestata la presunzione di maturazione di interessi attivi sulle somme non distribuite.

Questa tesi è avvalorata dall’articolo 46 del Tuir, quando nel comma 1, prevede che le somme versate alle società commerciali dai loro soci siano considerate date a mutuo “se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo“.

Quindi gli utili non incassati  dai soci costituiscono somme erogate dai soci alla società a titolo di versamenti con la qualifica di “mutuo” e, pertanto, produttive di interessi attivi tassabili a seconda che il socio percettore sia, rispettivamente, una persona fisica o un imprenditore.

La commissione tributaria provinciale prima e la regionale successivamente  hanno accolto il ricorso presentato dai soci e dalla società ritenendo che la presunzione fosse superata dal fatto che la somma non era iscritta a bilancio come mutuo ricevuto dai soci, che non vi erano esigenze finanziarie della società tali da richiedere un mutuo ai soci e che le somme erano state poi reinvestite in obbligazioni fruttifere.

La decisione della suprema Corte
L’Agenzia delle Entrate ha nuovamente proposto ricorso in Cassazione che ha ribadito il principio di diritto per cui la presunzione di onerosità del prestito è vincibile soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo. Pertanto, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva). Nel ricorso in Cassazione presentato dall’Agenza delle Entrate, i giudici di legittimità, respingevano la decisione di appello ritenendo insufficiente il solo dato dell’assenza di bisogni finanziari della società come elemento a dimostrazione del fatto che non si trattasse di un finanziamento.

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