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Street art: associazioni no profit

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street art associazione senza scopo di lucro

La street art e il no profit

La street art, ovvero la nuova forma d’arte emergente che porta molti ragazzi, spesso grafici o semplicemente potenziali artisti che, armati di creatività, desideri e tanta volontà ma anche  energia, ribellione, utopia  e  voglia di esprimersi, si cimentano nei loro lavori di strada alla ricerca di fama, successo, un reddito e forse anche l’immortalità attraverso la realizzazione di vere e proprie opere d’arte.

Sono sempre più i comuni (e Roma ne è un esempio con un vero e proprio museo a cielo aperto composto da  oltre 150 strade dedicate ai murales dal quartiere tuscolano a San Basilio) che affidano progetti di realizzazione di opere agli artisti di strada per abbellire e creare interesse turistico. Un altro ottimo esempio è la splendida città di Diamante in Calabria  dove al bellissimo mare e alla tipicità del peperoncino è stato sapientemente unito in un mix perfetto, un intero percorso dedicato ai murales cittadini che ha finito per  caratterizzare la cittadina anche nel suo meraviglioso itinerario artistico.

Tra i lavori più gettonati della street art troviamo spesso i Murales che come detto finiscono per diventare un’attrazione turistica ma i confini della street art sono sfumati perché gli strumenti per sviluppare la creatività artistica sono molteplici; c’è chi usa gli spray, chi gli stencil, chi appende  ai muri foto o poesie e chi si dedica ai graffiti artistici ( da non confondersi con  i  writer  che usano il  bombing ovvero la tendenza a scrivere tag dappertutto con obiettivo primario la notorietà)

Quello di cui vogliamo occuparci in questo articolo è  lo stretto vincolo esistente tra chi vuole fare della street art una passione da trasmettere in un sistema organico al sistema dell’arte contemporanea, creandone  un valore e trasmettendola agli altri e conservando un giusto diritto d’autore con lo scopo di trovare anche un sostentamento economico che gli permetta di gestire questa passione.

Per chi è ancora scettico su come questa moderna forma d’arte possa diventare un discreto business vale la pena ricordare almeno due episodi significativi:

  • A New York la Landmarks Preservation Commission ha espressamente approvato che nel restauro delle facciate dello storico Germania Bank Building all’angolo tra Bowery e Spring, rilevato nel 2015 per 55 milioni di dollari, venissero mantenuti tutti i graffiti illegali apposti nei decenni;
  • sempre a New York, in un edificio al 151 di Wooster Street in corso di ristrutturazione nel 2007 è stato scoperto un muro con pezzi di Keith Hearing, Fab Five Freddy, Futura 2000, Ramellzee, Basquiat etc.  I graffiti sono stati rimossi dalla parete che sarebbe stata in ogni caso abbattuta e sono stati montati su pannelli.

Questo perché alcuni artisti proprio con questa passione sono diventati di fama internazionale e le loro opere vengono commissionate in ogni parte del mondo.

Tornando a noi per chi vuole cimentarsi nella street art è bene sapere che la legge 633/1941 fa ricadere nelle opere protette dal diritto d’autore  le opere dell’ingegno di carattere creativo qualunque ne sia il modo o la forma di espressione (art. 1 ) per cui se l’opera è legale e quindi autorizzata ( specie se da contratto, bando o progetto) la stessa ricade nella tutela del diritto d’autore. Non ci occuperemo quindi di chi fa di questa forma d’arte un uso illegale da cui prendiamo le doverose distanze, ma piuttosto cercheremo di capire insieme come canalizzare e gestire al meglio chi, nella piena legalità vuole cimentarsi in questa nuova opportunità.

La norma sul diritto d’autore prevede che  “l’autore conservi il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione“. Questo anche se l’artista ha usato uno pseudonimo, un nome d’arte, una sigla o un segno convenzionale, purché gli stessi siano notoriamente conosciuti come equivalenti al nome vero.

Pertanto l’artista che prende in appalto un’opera o un progetto può aprire la sua partita IVA come artista ( magari con il regime dei minimi)  e con questa fatturare il progetto o l’incarico ovvero avvalersi della norma sul diritto d’autore se l’incarico ha carattere di occasionalità e un importo commissionato di scarsa entità ( ricevuta per diritto d’autore soggetta alla ritenuta d’acconto del 20% sul 75% dell’importo).

Per chi invece vede nella street art una passione e una forma di aggregazione e vuole trasmettere questa arte e condividerla con altri appassionati creando anche progetti con finanziamenti erogati da comuni e province che vogliano da una parte sostenere tale attività e dall’altra creare forme d’arte che abbelliscano il territorio ( spesso degradato) con commesse minime, la forma più adatta è certamente la costituzione di un’associazione colturale no profit ovvero senza scopo di lucro.

La realizzazione dell’associazione, dovrà tener conto sia delle regole caratteristiche dell’associazione stessa, cui tutti i soci dovranno attenersi, ( attività istituzionale ) sia della previsione nello statuto di forme di finanziamento pubbliche o private ( attività commerciale) che potranno garantire degli introiti che permetteranno non solo la sopravvivenza dell’associazione stessa ma anche il suo sviluppo futuro in contesti che possano apportare dei benefici significativi nell’arte contemporanea.

A tale scopo pubblichiamo un facsimile di statuto da applicare che possa essere d’ispirazione per chi vuole intraprendere questo percorso.

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fac simile statuto associazione street art 22.45 KB 58 downloads

pubblichiamo un fac simile di statuto relativo alla costituzione di associazione...

Il presente modello può essere usato per la redazione di un atto costitutivo con eventuale costituzione con atto notarile ( più oneroso) ovvero con registrazione presso l’Agenzia delle Entrate di competenza relativa alla sede dell’associazione con data certa.

Successivamente alla costituzione andrà richiesto il codice fiscale ( presso l’Agenzia delle Entrate) o anche la partita IVA se si intende effettuare anche attività commerciale.

 


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IVA ed esenzioni per enti no profit

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iva no profitIVA ed esenzioni per le prestazioni degli enti no profit

Vediamo insieme alcune informazioni utili da conoscere per l’imponibilità ad IVA o l’esenzione su alcune tipologie di attività esercitate dalle Associazioni no profit. Si tratta di prestazioni che l’Ente no profit esercita per la sua attività commerciale in abbinamento a quella meramente istituzionale che viene fatta in favore dei soci spesso a titolo gratuito. In questo caso invece, l’attività commerciale, pur essendo effettuata in ambito associativo riveste carattere di prestazione di servizi e come tale viene assoggettata ad IVA e presuppone che l’ente abbia provveduto alla richiesta di partita IVA e non sia quindi in possesso del solo codice fiscale.






Come abbiamo visto in precedenza l’ente no profit può optare per il regime forfettario di cui alla L. 398/91 ma come valutare quando e se l’ente debba  applicare l’IVA alle sue prestazioni e con quali modalità quest’IVA deve essere versata?

Il criterio fondamentale è sicuramente l’esercizio di attività commerciale ovvero dei servizi specifici a pagamento effettuati a soci o non soci a fronte di una prestazione o di una sponsorizzazione ( associazioni sportivo dilettantistiche) anche quando il corrispettivo della sponsorizzazione non viene pagato in denaro ma ad esempio in beni ( attrezzature sportive, gadget, magliette etc )

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Noi di Turismoefisco usiamo:

 

L’ente in questo caso ( attività commerciale) dovrà emettere idoneo documento fiscale ( fattura, ricevuta fiscale o scontrino nei casi specifici) e versare l’IVA trimestralmente sia che adottino il regime forfettario della L.398 sia che adottino quello ordinario mediante  il modello F24, con liquidazione  trimestrale.

I codici da adottare sono:

6031 IVA PRIMO TRIMESTRE scadenza 16 MAGGIO
6032 IVA SECONDO TRIMESTRE scadenza 16 AGOSTO
6033 IVA TERZO TRIMESTRE scadenza 16 NOVEMBRE
6034 IVA QUARTO TRIMESTRE scadenza 16 FEBBRAIO

ATTENZIONE: quest’ultimo versamento è specifico solo per alcune attività e tipologie quindi nel caso in cui l’ente adotti la legge 398 va versato anche il 4 trimestre con il codice 6034 mentre se adotta il regime ordinario il 4 trimestre avrà il codice 6099  come versamento annuale e potrà scegliere se versare entro il 16 MARZO dell’anno successivo ovvero con l’UNICO e rateizzare.

Ovviamente se si adotta il regime forfettario si verserà il 50% dell’IVA sulle fatture emesse ( indipendentemente dall’incasso) nel trimestre con impossibilità di recupero dell’IVA sugli acquisti.

Un caso a parte è quello relativo alle prestazioni che l’Ente può effettuare e che sono esenti da IVA  in base al DPR  633/1972  art. 10 e che nel caso specifico non danno ovviamente luogo a versamento IVA.
ATTENZIONE: I versamenti debbono essere effettuati senza la maggiorazione dell’interesse del 1% prevista per tutti gli altri contribuenti; questo adempimento ulteriore non si applica agli enti no profit.

Casi in cui l’Ente no profit effettua attività commerciale.

Spesso e volentieri alcuni enti  che operano nell’ambito sportivo, culturale o musicale si trovano a dover gestire anche per enti pubblici o privati ( es scuole) dei corsi corsi o eventi sportivi, musicali concerti bandistici, spettacoli, Palio  etc).

In questi casi viene elargito all’ente un contributo e richiesta la relativa fattura sulla quale ovviamente grava l’IVA che a livello contrattuale spesso non è stata nemmeno prevista.

Per prima cosa quindi è necessario analizzare il contratto e capire se la prestazione sia o meno soggetta ad IVA ovvero se rientra tra le attività commerciali o istituzionali dell’ente.

L’ ’Agenzia delle Entrate ci viene incontro in questo chiarendo alcune condizioni necessarie affinché queste particolari tipologie di prestazioni rese dall’ente  possano essere considerate esenti ai fini I.V.A. ex art. 10 d.P.R. 633/72 e quindi esentate dal tributo :

  • devono essere rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni;
  • devono essere di natura educativa dell’infanzia e della gioventù;
  • devono essere  didattiche, compresa l’attività di formazione, aggiornamento, riqualificazione o riconversione professionale

Se ad esempio  il committente è una scuola pubblica si rende assolutamente indispensabile formalizzare l’accordo tra ente e Scuola con la stipula di una convenzione nella quale andrà concordato che la Scuola manterrà il controllo sullo svolgimento del programma didattico e svolgerà la necessaria sorveglianza sugli alunni durante le attività della Associazione.

Dal punto di vista I.V.A., il contributo previsto nella convenzione come rimborso per le spese della Associazione, è considerato esente ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 20, d.P.R. 633/72.  Si tratta infatti di prestazioni rese all’infanzia, alla gioventù e didattiche in genere che sono rese da un’associazione (se sportiva addirittura riconosciuta da una federazione o da un ente di promozione sportiva) e sotto il controllo di un ente pubblico (la Scuola).

Dal punto di vista delle altre imposte (IRES e IRAP), i proventi derivanti da convenzioni con enti pubblici non concorrono alla formazione del reddito imponibile dell’Associazione ai sensi dell’art. 143, comma 3, lettera b), T.U.I.R.

Quando invece la prestazione è tra Ente e scuola paritaria o non paritaria la cosa è leggermente più delicata e complessa perché va redatta una convenzione nella quale è particolarmente importante riportare  gli estremi del riconoscimento della qualifica della Scuola (si essa paritaria o meno ) da parte dell’Autorità scolastica regionale. Anche in questo caso è indispensabile che l’ ente venga tutelato  ponendo come condizione indispensabile la presenza di un

docente, durante le sue attività, per sorvegliare gli studenti.

Così facendo il contributo  erogato e previsto nella convenzione come rimborso per le spese della Associazione, è considerato esente IVA ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 20, d.P.R. 633/72 poichè le scuole paritarie (e non) sono comunque sottoposte al controllo dello Stato.

Sono invece dovute IRES ed IRAP poiché queste entrate non derivano da convenzioni con enti pubblici.

Quando la prestazione è con un ente pubblico il mancato riconoscimento o di vigilanza da parte del Ministero della Pubblica Istruzione comporta l’applicazione dell’I.V.A. al 22%.

Può succedere però che delle Associazioni svolgano prestazioni educative, didattiche e formative approvate  da enti pubblici come Enti locali, Amministrazioni statali, Università ecc.

In genere nel finanziamento dell’attività è insita l’attività di controllo e di vigilanza, il contributo previsto nella convenzione come rimborso per le spese della Associazione, è considerato esente ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 20, d.P.R. 633/72!

Sono esenti IVA ai sensi dell’art. 10 n. 20 del D.P.R. 633/1972 le prestazioni effettuate da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni o ONLUS finalizzate all’educazione dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, inclusa la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale.
2) Non concorrono a formare il reddito imponibile degli Enti non commerciali (e dunque non sono soggetti a tassazione IRES e IRAP) i contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai predetti Enti per lo svolgimento in regime di convenzione o accreditamento di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi, e questo ai sensi dell’art. 143, del D.P.R. 917/1986.
3) I corrispettivi specifici versati per attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e rivolte agli iscritti, associati o partecipanti non si considerano commerciali, e pertanto dette somme rientrano nel novero delle attività non costituenti reddito imponibile (o istituzionali).

La circolare n. 34/e dell’Agenzia delle Entrate che potete scaricare qui

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circolare 34 E /2013 68.53 KB 2232 downloads

Trattamento agli effetti dell’IVA dei contributi erogati da amministrazioni pubbliche...

ci da un valido aiuto per capire meglio come inquadrare le erogazioni, da parte delle pubbliche amministrazioni, come contributi o corrispettivi nei confronti dell’associazione no profit.

Si ricorda  che per effetto della legge 244/2007  le fatture emesse nei confronti delle Amministrazioni  debbono  avvenire esclusivamente in forma elettronica con adozione ove previsto della tipologia di versamento IVA dello Split Payement.


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Enti no profit caratteristiche

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caratteristiche associazione no profitEnti No Profit Caratteristiche 

Delle No Profit se ne parla molto, per molteplici caratteristiche ognuno di noi conosce qualcuno che ha deciso di costituire un’associazione per fare questo o per fare quello; c’è chi addirittura progetta di costituire una ONLUS  per suonare nei locali e via dicendo.

Ma quanti sanno cosa effettivamente sia un Ente no profit ovvero cosa comporti il non lucrare su una qualsiasi attività che si intende esercitare e che possiede le caratteristiche necessarie affinché si possa parlare di attività sena fine di lucro?

I requisiti da soddisfare sono molteplici e soprattutto vanno ben capiti, analizzati e gestiti fin dall’atto costitutivo ovvero il primo passo verso la costituzione.

Prima di addentrarci  in quella che Dante chiamerebbe una Selva Oscura, ricca di insidie e trabocchetti  vediamo alcuni punti salienti che costituiscono i principi base, le fondamenta per meglio comprendere questo particolare settore:

A) divieto di distribuzione degli utili Qualsiasi Ente per ritenersi Non Commerciale, Senza Scopo di Lucro o No Profit deve contenere nel proprio statuto l’obbligo di destinazione di utili più o meno caratterizzato da queste parole: ““È fatto divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge“.

B) Obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento. Altro obbligo importantissimo da comprendere in quanto ““La Società si fa obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalita? analoghe o ai fini di pubblica utilita?, sentito l’organismo di controllo (se costituito) di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

E’ quindi importante premettere che in caso di scioglimento l’eventuale patrimonio sarà distribuito tra gli associati.

CIl principio di non temporaneità del vincolo associativo vale a dire che quando si effettua uan richiesta per diventare socio di una associazione e che la domanda è stata accettata (con conseguente verbale nominale inserito a Libro Verbali e il nominativo inserito a Libro Soci) si diventa soci a vita e non si deve rifare ogni anno la domanda di ammissione ma solo pagare la quota annuale: nello statuto va inserito:  “È esclusa espressamente la temporaneita? della partecipazione alla vita associativa“. “Il rapporto associativo ha durata di un esercizio sociale e si rinnova tacitamente di anno in anno se non intervengono le cause di perdita della qualita? di Associato di cui all’art. 5. (…) La decadenza discende automaticamente dal mancato pagamento per un esercizio del contributo associativo diIl mancato pagamento del contributo annuale e? causa di decadenza dell’Associato dal rapporto associativo.

  1. La negazione del principio di voto singolo: Nelle Associazioni No profit  vale il principio una testa è uguale a un voto e questo viene sancito dall’articolo 2538 comma 2 del Codice Civile.
  2. L’obbligo di approvazione del Rendiconto di gestione da parte dell’Assemblea dei Soci entro 4 mesi dalla chiusura dell’anno sociale.
  3. La clausola di intrasmissibilità e non rivalutabilita? della quota o contributo associativo (ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte).
  4. Il diritto di voto degli associati per le modifiche allo Statuto.

A questo punto abbiamo ben capito che gli Enti  no-profit, a differenza delle imprese, si caratterizzano per il fatto che l’attività svolta non è a scopo di lucro.  Il lucro costituisce un elemento fondamentale di distinzione e caratterizza la vera natura delle due realtà; inoltre la normativa concede agevolazioni e diritti speciali per gli Enti No profit proprio perché l’attività delle stesse è legata a una sorta di volontariato nell’ambito del settore dell’attività esercitata e non con carattere commerciale.

Vediamo uno specchietto delle principali differenze :

PROFIT NO-PROFIT
 

Si costituiscono solo mediante atto notarile, in quanto la legge impone che il loro atto costitutivo abbia la natura di atto pubblico.

 

Si costituiscono mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata.

 

I soci sono tali in quanto detengono quote azionarie della società.

 

I soci possono essere fondatori – i firmatari dell’atto costitutivo – o effettivi – coloro che svolgono attività sportiva all’interno dell’Associazione -.

 

 

Lo scopo, in questo caso lucrativo, è volto alla trasformazione di materie prime o semilavorati per ottenere prodotti finiti da vendere ad altri operatori commerciali o agli utilizzatori finali.

 

Lo scopo, non lucrativo, è quello evidenziato dall’atto Costitutivo in conformità all’attività realmente svolta.

 

Si ha la distribuzione degli utili, in parte mediante accantonamento a riserve menzionate nello Statuto e la parte restante destinata agli azionisti.

 

Si ha il divieto di distribuire gli eventuali utili utilizzandoli per un eventuale forma di autofinanziamento.

 

Secondo principi civilistici sono obbligate a redigere il Bilancio d’esercizio; secondo principi contabili sono tenute a redigere anche il rendiconto finanziario.

 

La redazione del Bilancio sostituisce l’obbligo di redigere un rendiconto finanziario ed economico.

 

 

In caso di liquidazione o fallimento l’azienda è affidata ai liquidatori, i quali hanno il compito di pagare la maggior parte dei crediti rimasti sospesi.

 

In caso di scioglimento il patrimonio deve essere devoluto ad un altro ente associativo con le stesse finalità.

 

Pochi sono i vantaggi di cui usufruiscono per quanto riguarda la normativa fiscale.

 

Innumerevoli sono i vantaggi fiscali di cui suddetti enti possono godere, con particolare riferimento alle O.N.L.U.S.

Ma anche gli Enti no profit hanno caratteristiche e particolarità che contraddistinguono le varie situazioni

Possiamo infatti distinguere diverse fattispecie:

Le Associazione non riconosciute

Sono disciplinate dagli artt. 36 e seguenti del Codice Civile.
Le Associazioni in parola vengono definite “non riconosciute” in quanto sono prive di personalità giuridica.
Sebbene la legge consenta di dare vita ad un’Associazione non riconosciuta anche per mezzo di un semplice accordo verbale, la pratica invalsa, ed intuibili ragioni di funzionalità, fanno sì che l’Associazione non riconosciuta si costituisca, di regola, a mezzo di un atto scritto (contratto di associazione ), basato su due principali componenti:

  1. l’atto costitutivo, che dà vita all’associazione identificandone e fissandone gli elementi di avvio e di riferimento;
  2. lo statuto, destinato a regolare il funzionamento a regime dell’associazione.

Il contratto associativo non richiede forme particolari. È sufficiente una scrittura privata semplice, senza la necessità di ricorrere all’intervento di un notaio; non occorre che essa contenga specifici elementi, se non quelli richiesti dalla normativa fiscale .

Le caratteristiche strutturali di un’Associazione non riconosciuta possono essere così elencate:

  1. una forma di aggregazione aperta all’incremento od al ricambio degli associati (cosiddetta “struttura aperta”). Gli associati, teoricamente, potrebbero avere diritti ed oneri diversi tra loro (ad esempio, in relazione all’entità dei contributi da versare, ai diritti di voto, ecc.); ma è preferibile che si stabilisca tra loro parità di diritti e doveri. Si consideri oltretutto che detta parità, in linea generale o specifica, è un requisito richiesto per godere di determinate agevolazioni fiscali;
  2. autonomia patrimoniale – sia pure limitata – rispetto alle sfere patrimoniali dei singoli associati e ad eventuali creditori personali dei medesimi, che si sostanzia nel concetto di “fondo comune” ;
  3. attività finanziata primariamente con i contributi degli associati, ma anche con donazioni od erogazioni di terzi; oppure, ancora, con (limitate) attività di natura commerciale;
  4. delega della gestione associativa ad una o più persone fisiche, generalmente elette dall’assemblea degli associati per limitati periodi di tempo, oppure designate in sede di costituzione;
  5. estinzione per:
    • scadenza del termine di durata eventualmente fissato dallo statuto;
    • deliberazione dell’assemblea degli associati (ove esistente);
    • il venir meno di tutti gli associati;
  6. in ogni caso, gli eventuali residui attivi della liquidazione non potranno essere ripartiti tra gli associati superstiti, ma dovranno essere devoluti (a fini non lucrativi) per gli scopi eventualmente previsti dallo statuto; oppure – in mancanza dei medesimi – a quelli determinati dalla pubblica autorità.

Le associazioni riconosciute

Le Associazioni Riconosciute, previste e disciplinate dagli artt. 14-24 del Codice Civile, devono:

  • costituirsi con atto pubblico;
  • chiedere ed ottenere il riconoscimento della personalità giuridica;
  • risultare di conseguenza iscritte negli appositi registri previsti dalla legge.

Il riconoscimento della personalità giuridica, come principale conseguenza, assicura il beneficio della limitazione della responsabilità al patrimonio associativo.

La possibilità di acquisto di beni immobili da parte delle Associazioni Riconosciute è ulteriore e diretta conseguenza delle modalità di costituzione e dell’acquisizione della personalità giuridica.
Le fondazioni

Per le Fondazioni, disciplinate dagli articoli dal 14 al 35 del Codice Civile, valgono le medesime regole di riconoscimento esaminate per le Associazioni Riconosciute. Esse si costituiscono per atto pubblico o per disposizione testamentaria.

La particolare struttura di questi enti non rende infatti necessaria l’esistenza o la permanenza, al loro interno, del soggetto o dei soggetti “fondatori”.

La struttura giuridica della Fondazione non prevede la figura del socio (od associato, od altre figure assimilabili).
Il metodo ordinario con cui si costituisce una Fondazione è quello del lascito, da parte di uno o più fondatori, di un patrimonio vincolato al perseguimento di determinati scopi non lucrativi, che saranno non tanto mutualistici, quanto piuttosto di matrice sociale, culturale, solidaristica.
I comitati

Il Codice Civile non descrive in dettaglio la nozione di Comitato.

Il Comitato può essere definito come un ente, generalmente senza personalità giuridica, costituito da un ristretto numero di persone che si propongono la raccolta di fondi necessari a realizzare una determinata iniziativa.

I principali elementi qualificanti del Comitato possono essere così identificati:

  1. struttura chiusa del rapporto. Il Comitato si propone il raggiungimento del proprio scopo contando sull’opera di coloro che vi hanno dato vita, i cosiddetti “promotori”, i quali commisureranno le possibilità di successo del Comitato ai fondi che saranno stati in grado di raccogliere;
  2. scopo: deve essere non “interno” (ovvero “mutualistico”, a vantaggio dei membri dell’organizzazione), ma con preminente rilevanza “esterna”;
  3. durata: di regola i Comitati nascono per il varo di una iniziativa e si estinguono una volta realizzata la medesima, o preso atto dell’impossibilità di realizzarla;
  4. patrimonio: si costituisce non già attraverso apporti monetari dei fondatori e membri del Comitato (i quali, peraltro, potrebbero limitare il loro apporto all’opera prestata), ma attraverso i contributi di soggetti esterni all’ente (sottoscrittori), che ritengono di sostenerne il programma;
  5. disciplina della responsabilità: rispondono personalmente e solidalmente tutti i membri del Comitato.

La trasformazione di associazioni e fondazioni

La riforma societaria, in vigore dal 1 gennaio 2004, ha innovato profondamente le ipotesi di cambiamento della forma giuridica delle imprese.

Tra le varie modifiche apportate è stata prevista anche la possibilità della cosiddetta “trasformazione eterogenea”, che riguarda il passaggio da soggetti societari a soggetti differenti o viceversa.
Più in particolare, con riferimento agli enti esaminati nel presente opuscolo, sono state disciplinate la trasformazione eterogenea da società di capitali (art. 2500 – septies del codice civile) e quella in società di capitali (art. 2500 – octies).

La prima consente tra l’altro di passare da una società di capitali (ad esempio spa o srl) ad una associazione non riconosciuta o ad una fondazione, mentre la seconda disciplina (ugualmente assieme ad altri casi) la trasformazione in società di capitali di associazioni riconosciute e di fondazioni.
È da rilevare che non è prevista la possibilità di trasformare in società di capitali una associazione non riconosciuta, la quale conseguentemente prima di procedere alla trasformazione deve acquisire la personalità giuridica.

Coerentemente con l’innovazione introdotta in materia societaria anche le nuove disposizioni che hanno modificato dall’inizio del corrente anno la normativa sulle imposte sui redditi hanno provveduto a disciplinare gli aspetti fiscali relativi alla trasformazione eterogenea (art. 171 Testo Unico Imposte sui Redditi).


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Esenzione Imu Enti no profit – enti religiosi

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tasi e imuEsenzione Imu Enti no profit – enti religiosi

L’esenzione Imu ( e tasi)  si basa sulla risoluzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze 3 dicembre 2012 n. 1/DF, che ha chiarito alcuni aspetti inerenti all’esenzione IMU prevista per gli enti non commerciali che svolgono la propria attività senza scopo di lucro.

La stessa ha infatti identificato le modalita per l’esenzione stabilendo che è prevista solo per gli immobili destinati “esclusivamente” allo svolgimento di attività con modalità non commerciali.

Il regolamento emanato con decreto ministeriale 19 novembre 2012 n.200, ha definito all’art.3 i requisiti necessari per qualificare le attività non profit come svolte con modalità non commerciali.
I requisiti generali sono:

  1. a)  il divieto di distribuire utili o avanzi di gestione a soci, amministratori, ecc;
  2. b)  l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili o avanzi di gestione per il perseguimento delloscopo istituzionale;
  3. c)  l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento, in favore di altroente che svolga un’analoga attività istituzionale;

L’ente, ai fini dell’esenzione, deve prevedere tali requisiti nello Statuto, da adeguare eventualmente entro il 31 Dicembre 2012, o (per gli enti ecclesiastici che non hanno Statuto) in un Regolamento redatto in forma di scrittura privata registrata, da tenere a disposizione dei comuni, ai fini dell’attività di accertamento e controllo.

L’estensione dell’esenzione anche agli immobili ad utilizzazione mista (istituzionale e commerciale), seppure pro quota, secondo determinati rapporti di proporzionalità, sarà possibile solo a partire dal periodo di imposta 2013.

L’art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs. n. 504 del 1992, riconosceva l’esenzione dall’ICI a “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, e delle attività di cui all’art. 16, lettera a), della l. 20 maggio 1985, n. 222”.

La suddetta esenzione veniva riconosciuta quando ricorrevano contemporaneamente:

  • un requisito di carattere soggettivo, rappresentato dal fatto che l’immobile deve essere utilizzato da un ente non commerciale di cui all’art. 73 (ex art. 87), comma 1, lettera c) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR);
  • un requisito di carattere oggettivo, in base al quale gli immobili utilizzati devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente elencate dalla norma e dette attività non devono avere esclusivamente natura commerciale.Per quanto riguarda il requisito soggettivo, occorre precisare che l’art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR, fornisce la nozione di enti non commerciali, individuandoli negli “enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.

La norma in esame prevede, dunque, che nell’ambito degli enti non commerciali possono essere compresi:

  • gli enti pubblici, vale a dire gli organi, le amministrazioni dello Stato e gli enti territoriali;
  • gli enti privati, cioè gli enti disciplinati dal codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) e gli entidisciplinati da specifiche leggi di settore.

Occorre precisare che nell’ambito degli enti privati non commerciali vanno ricompresi anche gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense (legge 25 marzo 1985, n. 121 per la Chiesa cattolica) e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose.

Affinché venga rispettato il requisito oggettivo richiesto dall’art. 7, comma 1, lettera i) del D. Lgs. n. 504 del 1992, occorre che gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali devono essere in concreto destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività:

  • assistenziali
  • previdenziali
  • sanitarie
  • didattiche
  • ricettive
  • culturali
  • ricreative
  • sportive
  • e delle attività indicate dall’art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, vale a dire le attività di religione e di culto, che sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”.

Bisogna innanzitutto sottolineare che ai fini del riconoscimento dell’esenzione la Corte di Cassazione in varie sentenze (Cfr.: sentenze n. 10092 del 13 maggio 2005, n. 10646 del 20 maggio 2005) ha affermato che non rileva l’attività indicata nello statuto dell’ente, anche se rientrante tra quelle agevolate, ma l’attività effettivamente svolta negli immobili.

Le attività meritevoli di usufruire del regime di favore in materia di ICI erano:

  1. a) Le attività didattiche

Le attività didattiche sono quelle disciplinate dalla legge 28 marzo 2003, n. 53, tra le quali rientrano, in generale, le attività che conferiscono titoli riconosciuti.
Ai fini dell’applicazione della norma di esenzione è necessario che:

  • l’attività sia paritaria rispetto a quella statale; detta circostanza implica una serie di obblighi (ad esempio, l’accoglienza di alunni portatori di handicap, l’applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, l’obbligo di pubblicità del bilancio, le caratteristiche delle strutture e l’adeguamento a standard previsti) ed offre la garanzia del rispetto delle caratteristiche che la legge ritiene imprescindibili nell’insegnamento;
  • la scuola adotti un regolamento che garantisca la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni. Il regolamento potrà prevedere criteri di selezione nel caso in cui le domande di iscrizione siano superiori alle disponibilità di posti, ma non potrà stabilire limiti all’accesso (ad esempio: l’esclusione degli alunni che non hanno conseguito una certa media); e l’attività non debba chiudere con un risultato che superi il sociale.Dall’esame delle disposizioni che disciplinano la materia – in particolare la legge 21 marzo 1958, n. 326, che regola i complessi ricettivi complementari a carattere turistico-sociale, attuata con il D.P.R. 20 giugno 1961, n. 869; le disposizioni regionali sulla ricettività complementare o secondaria, che fissano le caratteristiche delle strutture, la tipologia dei gestori e la tipologia degli utenti – risulta che, per ottenere l’esenzione dall’ICI, devono sussistere le seguenti modalità di esercizio delle attività ricettive. Per la “ricettività sociale” (il cosiddetto housing sociale), è necessario che le iniziative mirino a garantire soluzioni abitative per bisogni speciali (ad esempio: centri di accoglienza, pensionati per parenti di malati ricoverati in ospedali distanti dalle proprie residenze, comunità alloggio); che si tratta di attività attraverso le quali gli enti rispondono al bisogno di sistemazioni abitative temporanee; che le attività ricettive siano dirette a sostenere i bisogni abitativi di categorie sociali meritevoli (ad esempio: pensionati per studenti, per lavoratori precari, per stranieri e strutture simili) anche per periodi protratti nel tempo (si tratta, in sostanza, di attività caratterizzate dall’attenzione a situazioni critiche).

E’ indispensabile sottolineare che per entrambe le fattispecie è determinante anche l’entità delle cosiddette “rette”, che devono essere di importo significativamente ridotto rispetto ai “prezzi di mercato”. In definitiva sono escluse dall’esenzione dall’ICI: le strutture, in possesso di autorizzazioni per “ricettività complementare”, che si comportano da albergo.

  1. b) Le attività di religione e culto

La norma di esenzione richiama tra le attività di religione e di culto solamente quelle di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, che, come innanzi precisato, sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi a scopi missionari alla catechesi, all’educazione cristiana”. Pertanto, l’esenzione dall’ICI poteva essere riconosciuta solo agli immobili adibiti alle attività appena indicate.

Veniamo ora all’IMU. Gli artt. 3 e 4 del D.M. 19 novembre 2012 n.200, emanato ai sensi dell’art. 91-bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2012, n.1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n.27, specificano i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali.

In particolare, l’art.3 del suddetto decreto prevede che le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:
a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;

  1. b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale;
    c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

L’art.4 del suddetto decreto, prevede ulteriori requisiti.
– Lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse:
a) sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto dell’Unione europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale;
b) se non accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.
– Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:
a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;
b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;

  1. c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
    – Lo svolgimento di attività ricettive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le stesse sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

-Lo svolgimento di attività culturali e attività ricreative si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le stesse sono svolte a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

-Lo svolgimento di attività sportive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le medesime attività sono svolte a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo dell’operazione.

L’art.5 del D.M. 19 novembre 2012 n.200, inoltre, disciplina l’individuazione del rapporto proporzionale prevedendo:
1. Il rapporto proporzionale di cui al comma 3 dell’articolo 91-bis del citato decreto-legge n. 1 del 2012, è determinato con riferimento allo spazio, al numero dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attività con modalità commerciali ovvero non commerciali e al tempo.
2. Per le unità immobiliari destinate ad una utilizzazione mista, la proporzione è prioritariamente determinata in base alla superficie destinata allo svolgimento delle attività diverse da quelle previste dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, e delle attività di cui alla
lettera i), svolte con modalità commerciali, rapportata alla superficie totale dell’immobile.
3. Per le unità immobiliari che sono indistintamente oggetto di un’utilizzazione mista, la proporzione è determinata in base al numero dei soggetti nei confronti dei quali le attività sono svolte con modalità commerciali, rapportato al numero complessivo dei soggetti nei confronti dei quali è svolta l’attività.
4. Nel caso in cui l’utilizzazione mista, è effettuata limitatamente a specifici periodi dell’anno, la proporzione è determinata in base ai giorni durante i quali l’immobile è utilizzato per lo svolgimento delle attività diverse da quelle previste dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992,ovvero delle attività di cui alla lettera i) svolte con modalità commerciali.
5. Le percentuali determinate per ciascun immobile , si applicano alla rendita catastale dello stesso in modo da ottenere la base imponibile da utilizzare ai fini della determinazione dell’IMU dovuta.

Con la risoluzione n. 1/DF dello scorso 3 Dicembre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiarito alcuni aspetti circa l’applicabilità dell’IMU agli enti ecclesiastici.
Richiamando la circolare n. 168/E del 26 giugno 1998, la risoluzione del Ministero, ribadisce la non applicabilità agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti delle norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private
(tra cui il possesso di uno statuto), ma prevede la predisposizione da parte degli stessi enti di un regolamento, nella forma della scrittura privata registrata da tenere a disposizione dei comuni, che recepisca le clausole dell’art.10, comma 1, del decreto legislativo n.460 del 1997. Ciò significa che gli enti ecclesiastici devono, comunque, conformarsi alle disposizione di cui all’art.3 del regolamento n.200 del 2012, circa i requisiti per lo svolgimento di attività con modalità non commerciali.

La suddetta risoluzione, sottolinea l’applicazione dell’esenzione IMU agli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività con modalità non commerciali , e la decorrenza del 1° Gennaio 2013 per l’esenzione con riferimento al rapporto proporzionale.

Con questo riteniamo di essere esaustivi nella interpretazione fornita.


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