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reverse charge per asd ssd

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Reverse charge 2020 per ASD e SSD

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Facciamo luce su una problematica diffusa nello sportivo dilettantistico e relativa alla corretta applicazione del meccanismo del Reverse Charge nelle diverse fattispecie in cui l’ente si trova ad operare. In primo luogo il meccanismo dell’inversione contabile prevede che:

    • il cedente ( ovvero  il prestatore  dei servizi richiesti) emette la fattura senza applicazione (e quindi addebito) dell’IVA relativa;
  • l’acquirente/committente ( la ASD/SSD) deve integrare la fattura ricevuta con l’indicazione della aliquota e della relativa imposta e annotare la stessa nel registro IVA delle fatture emesse/corrispettivi ed anche nel registro degli acquisti
    la doppia annotazione della fattura da parte della ASD/SSD, rende neutrale, sul piano finanziario, l’operazione ai fini IVA.

Vediamo ora come  la norma del reverse charge trova corretta e giusta applicazione nelle diverse fattispecie nella quale la ASD/SSD si trova ad operare.

A) L’ Ente non commerciale è in possesso del solo codice fiscale  ( caso possibile per la sola A.S.D. ) continuerà a ricevere  la normale fattura con l’ordinario addebito dell’Iva (ad es. pulizia locali, lavori edili etc )–> non si applica il Reverse Charge.

Pertanto il meccanismo del reverse charge interessa i soli enti non commerciali  titolari di Partita Iva. Per capire meglio la fattispecie facciamo riferimento anche alla circolare dell’ Agenzia delle Entrate .n. 14/E del 27 marzo 2015  che è possibile scaricare qui

Icona

circolare 14 e del 27 marzo 2015 reverse charge 434.46 KB 675 downloads

Reverse charge per A.S.D:  S.S.D. circolare dell'agenzia delle entrete esplicativa...

la circolare evidenzia come  il meccanismo del reverse charge non trova applicazione alle prestazioni di servizi rese nei confronti di soggetti che, beneficiando di particolari regimi fiscali, come gli enti non commerciali che hanno optato per le disposizioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, sono di fatto esonerati dagli adempimenti previsti dal DPR n. 633 del 1972 (annotazione delle fatture, tenuta del registro dei corrispettivi e del registro degli acquisti e in particolare dalla registrazione delle fatture di acquisto e di vendita).

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A questo punto dovremo semplicemente distinguere se la ASD o la SSD abbia o meno  optato per il regime forfettario della Legge n. 398/91.

B) Se la ASD/SSD  ha optato per l’applicazione della L.398/1991 si trova di fatto in un regime speciale di applicazione dell’IVA e pertanto anche in questo caso non dovrà applicare il Reverse Charge  e continuerà a ricevere la normale fattura  per  tutte quelle operazioni che normalmente sarebbero ora soggette al Reverse Chage ( pulizie, lavori edili etc)

C) Se invece la ASD/SSD  non ha optato per la L 398/91 si trova in un regime ordinario di applicazione dell’IVA e pertanto dovrà applicare il Reverse Charge ma esclusivamente  sulle prestazioni e servizi che sono riferibili all’attività commerciale esercitata ( rispetto a quella istituzionale no profit)

Si tratta in pratica di distinguere con estrema attenzione tutte quelle prestazioni e servizi che la ASD/SSD eroga e che sono destinate in parte allo svolgimento della propria attività istituzionale ( esempio ricavi esclusi IVA per quote fitness)  e in parte allo svolgimento della propria attività commerciale (esempio vendita di gadget magliette somministrazione etc) per i quali l’Agenzia delle Entrate  nella circolare citata ( punto 8 ) ha fornito le modalità di applicazione dell’ inversione contabile.

Vale a dire se nel mio centro fitness una gran parte del mio operato si riferisce all’attività istituzionale per la quale non assolvo IVA e non la pago e per una parte invece si riferisce ad attività commerciale per la quale pago l’IVA allora dovrò applicare il Reverse Charge solo su questa e dovrò quindi individuare un criterio oggettivo per capire il rapporto che c’è tra queste due.

Sono previsti criteri oggettivi per l’individuazione derivanti da accordi e contratti quali ad esempio l’entità del corrispettivo pattuito, il carattere dimensionale degli edifici interessati, tenendo presente che alcuni acquisti sono per natura promiscui ovvero interessano entrambe le attività e vanno ripartite con la corretta modalità di applicazione

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ACQUISTI DI SERVIZI PROMISCUI DA PARTE DI UN ENTE NON COMMERCIALE

In concreto, per distinguere la quota di servizi da imputare alla gestione commerciale della ASD / SSD che è assoggettabile al meccanismo del Reverse Charge dovremo analizzare bene gli accordi contrattuali e i corrispettivi e gli introiti che derivano dall’attività commerciale e come questa sia rapportabile a quella istituzionale. con particolare attenzione alla dimensione complessiva dell’edificio in cui stiamo operando e alle diverse aree previste per l’esercizio dell’una e dell’altra attività ( esempio i locali adibiti a palestra rispetto a quelli adibiti a Welness piuttosto che al bar/ristorante o alla vendita di prodotti quali integratori, magliette , borse costumi, etc)

Poniamo questo esempio;  la fattura complessiva mensile per le pulizie ammonta ad  €  2.000  per un locale che ha una superficie di 500 mq di cui mq 50 occupati dal bar  e  rivendita gadget e 450 mq locali in cui si svolge attività  istituzionale ( esempio pratica del nuoto ) ovvero  non commerciale) e ricaviamo attraverso le formule matematiche le relative proporzioni e gli importi da assoggettare:

x:100=50:500  = 10% –> percentuale attività commerciale rispetto a quella complessiva

x:100=450:500  = 90% –> percentuale attività istituzionale rispetto a quella  complessiva

€ 2.000×10%= euro 200 –> quota parte della fattura soggetta a Reverse Charge

€2.000×90%= euro 1.800-> quota parte della fattura soggetta a IVA ordinaria 22%.

Riassumiamo il tutto con un comodo specchietto:

 

TIPOLOGIA ENTE E ADOZIONE  COMPORTAMENTO  AI FINI DEL REVERSE CHARGE
ASD CON SOLO CODICE FISCALE NON APPLICA MAI IL REVERSE CHARGE – IVA ORDINARIA
ASD/SSD CHE ADOTTA LA LEGGE 398 NON APPLICA MAI IL REVERSE CHARGE – IVA ORDINARIA
ASD/SSD CHE NON ADOTTA LA 398 APPLICA  IL REVERSE CHARGE   SULLA PARTE COMMERCIALE

NON APPLICA  IL REVERS CHARGE PER LA PARTE ISTITUZIONALE

info e chiarimenti

 


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differenza tra associati e tesserati

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 differenza tra associati e tesserati

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La differenza tra soci e tesserati costituisce un tema fondamentale per chiunque voglia approcciarsi alla comprensione del mondo sportivo dilettantistico. Molti penseranno che questo abbia una valenza solo ai fini della decommercializzazione dei corrispettivi derivanti dalle quote che ogni membro versa alla ASD o SSD ovvero il godimento della agevolazione sui corrispettivi specifici a fronte delle prestazioni di servizi resi dalla ASD o SSD.

In realtà non è solo questo; quando si entra a far parte di un circolo sportivo ( ad esempio una palestra) sia per il nuovo membro sia per il circolo stesso è importante capire che qualifica assume quel determinato membro ( utilizzatore sportivo  o associato  )nella associazione /società sportiva e quali sono i diritti e doveri di entrambi per la vita sociale.

Ad esempio nella A.S.D. è obbligatorio che ogni membro fruitore di servizi debba associarsi ( anche se ci sono versioni controverse legate alla corretta applicazione del comma 3 dell’art. 148 del T.U.I.R. ) ovvero deve  completare un iter  burocratico che permetterà  al membro di essere associato alla A.S.D. quindi la ASD godrà delle agevolazioni fiscali predisposte dalla Legge, dovrà registrarsi presso un Ente di Promozione Sportiva (o una Federazione Sportiva Nazionale di riferimento e ottenere il certificato necessario per l’obbligatoria iscrizione al registro del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) mentre il membro come associato godrà di ogni diritto a lui riservato come il diritto di voto nelle assemblee il diritto di nominare il consiglio direttivo e quello di partecipare alla vita dell’associazione in maniera attiva fino, perché no, a divenatarne egli stesso presidente.

Nella S.S.D. invece i soci sono solo quelli che costituiscono la società con il Notaio, peraltro con una serie di vicoli  legati alla trasmissibilità della propria quota ( di solito due o tre ) mentre tutti i membri che frequentano il circolo sono solo degli ” affiliati” ovvero tesserati presso un Ente di Promozione Sportiva (o una Federazione Sportiva Nazionale di riferimento ). Solo i soci effettivi godono dei diritti di voto e di gestione della SSD mentre i membri frequentatori non hanno alcun diritto in tal senso nella gestione e nella vita societaria.

Ma perché affiliarsi agli enti di promozione sportiva e quali sono questi Enti?

Tutto fa capo al  CONI, ovvero l’organo sportivo principale che regolamenta tutte le attività sportive in Italia e ad esso  spetta il riconoscimento degli Enti di Promozione Sportiva, che per ottenerlo dovranno rispettare una serie di direttive e requisiti dettati, dal Regolamento degli Enti di Promozione Sportiva.

 Sono riconosciute ai fini sportivi in qualità di Enti di Promozione Sportiva (EPS), le Associazioni a livello nazionale, nonché le Associazioni a livello regionale non riconosciute già a livello nazionale, che hanno per fine istituzionale la promozione e l’organizzazione di attività motorie – sportive con finalità ricreative e formative, e che svolgono le loro funzioni nel rispetto dei principi, delle regole e delle competenze del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN) e delle Discipline Sportive Associate (DSA) e nell’osservanza della normativa sportiva antidoping del CONI – NADO. Il loro statuto stabilisce l’assenza dei fini di lucro e garantisce l’osservanza del principio di democrazia interna e di pari opportunità.
2. Gli EPS ai fini sportivi sono costituiti da associazioni e/o società sportive.
3. Partecipano inoltre alle attività degli EPS le basi associative sportive (BAS) e ove previsto dai rispettivi statuti, anche singoli tesserati.
1. Gli Enti di Promozione Sportiva promuovono e organizzano attività multidisciplinari per tutte le fasce di età e categorie sociali, secondo la seguente classificazione:
a) Motorio – Sportive
1) a carattere promozionale, amatoriale e dilettantistico, seppure con modalità competitive, con scopi di ricreazione, crescita, salute, maturazione personale e sociale;
2) attività ludico-motorie e di avviamento alla pratica sportiva.
3) attività agonistiche di prestazione, connesse al proprio fine istituzionale, nel rispetto di quanto sancito dai Regolamenti tecnici delle Federazioni Sportive Nazionali o delle Discipline Sportive Associate, ai quali dovranno fare esclusivo riferimento, unitamente ai propri affiliati, per il miglior raggiungimento delle specifiche finalità previa stipula di apposite Convenzioni conformi al fac simile emanato dal CONI.
b) Attività Formative. Indagini, pubblicazioni ed approfondimenti sulla diffusione della pratica e cultura sportiva. Corsi, stages, convegni e altre iniziative a carattere formativo per operatori sportivi e/o altre figure similari; gli attestati e le qualifiche conseguite al termine delle iniziative hanno valore nell’ambito associativo dell’Ente
fatti salvi i casi in cui l’EPS abbia preventivamente sottoscritto appositaConvenzione con la specifica FSN e DSA.

Quindi la convenienza ad affiliarsi a un EPS sta anel fatto che questo è multidisciplinare e comprenderà quindi tutte le discipline che la ASD o SSD deciderà di far praticare nel proprio centro sportivo.  Attualmente, il CONI riconosce 15 Enti di Promozione Sportiva Nazionali edali,  un Ente di Promozione Sportiva Regionale.

Un particolare e personale interpretazione dell”art.  148 del T.U.I.R. ha portato molte A.S.D. a pensare che vi fosse una sorta di equivalenza, ai fini fiscali,  tra il fatto di tesserare semplicemente un frequentatore ed essere in regola ai fini del godimento delle agevolazioni fiscali, e conseguentemente hanno sfoltito la platea degli associati rispetto ai semplici tesserati, al fine di creare una sorta di barriera limitativa nella governance della A.S.D. permettendo ai soli associati così limitati e  non anche a tutti gli altri che in pratica regrediscono da associati a tesserati il diritto di voto e di partecipazione ai momenti assembleari. Questo ovviamente  nega il principio fondamentale di democraticità che sta alla base delle agevolazioni fiscali ( per la parte fiscale )  e di quella associativa ( per la parte giuridica) e che può comportare grosse problematiche in sede di accertamento, poiché nelle A.S.D. non è possibile adottare lo schema previsto per le S.S.D.

Quindi una volta capito chi sono gli associati nelle A.S.D. cerchiamo di capire anche chi sono invece i tesserati.

I tesserati sono coloro che vengono iscritti tramite la A.S.D. o la S.S.D. a un ente sportivo nazionale per il tramite della A.s.D. o S.S.D. Nella A.S.D. abbiamo quindi associati che sono anche tesserati a un ente di promozione sportiva o una federazione mentre nella S.S.D. abbiamo dei semplici ” frequentatori” che sono tesserati. La tessera dell’ente sportivo autorizza il membro anche alla partecipazione a  gare per lo sport praticato, rendendo di fatto inutile l’emissione di una tessera di riconoscimento rilasciata dalla A.S.D. o S.S.D. di appartenenza.

La natura di un tesseramento ad una organizzazione sportiva nazionale riconosciuta dal Coni può avere una duplice valenza. In un caso, come accade quasi sempre con gli enti di promozione sportiva, costituisce prova dell’avvenuta instaurazione del vincolo associativo tra la persona fisica e l’ente nazionale avvenuto per il tramite della associazione sportiva e produce, in capo alla persona fisica, l’acquisizione dei diritti elettorali nell’ente di appartenenza, nell’altro, come accade, invece, quasi sempre con le Federazioni sportive nazionali, il tesseramento ha natura di atto amministrativo e costituisce una sorta di “autorizzazione”, di “patente” a partecipare all’attività sportiva organizzata da quella Federazione attraverso le squadre e l’attività del club sportivo presso il quale ci si tessera.

Ma è necessario fare molta attenzione al momento esatto in cui questo associativismo e tesseramento si perfeziona nell’ambito dell’associazione o S.S.D.

Infatti,  affinché scatti la legittimazione dell’agevolazione fiscale in capo al tesserato, è necessario che, all’atto del pagamento del servizio da parte del medesimo, questo tesseramento si sia già perfezionato. Il momento di conclusione dell’iter varia tra le diverse realtà sportive nazionali ma, non vi è dubbio, non può definirsi concluso “almeno” prima che almeno i dati del nuovo tesserato siano comunicati alla segreteria generale della Federazione o dell’Ente di promozione sportiva.

Questo accade ad esempio:

    • per le A.S.D. nel momento in cui il potenziale nuovo membro richieda di aderire in qualità di associato; questa autorizzazione venga data dal consiglio direttivo e comunicata al nuovo membro;
  • per le S.S.D. nel momento in cui il potenziale nuovo membro abbia richiesto di essere tesserato per il tramite della S.S.D; firmi l’accettazione del regolamento interno della stessa e la sua richiesta sia stata inviata telematicamente all’ Ente di promozione sportiva ( o Federazione) e da questi trascritta.

Fino a quel momento la persona fisica è da considerarsi “terzo”  o anche ” cliente”  pertanto, come tale, il corrispettivo della quota da questi versato non può essere decommercializzata ma ricade nell’attività commerciale della A.S.D. o S.S.D. con conseguente assoggettamento ad Iva nella misura ordinaria di legge e del pagamento delle imposte come ricavo.

Questo perché l’attività esterna degli enti associativi  ( ma anche  per le S.S.D. ) cioè  qualsiasi prestazione  resa nei confronti dei terzi,  ( non associati o non tesserati) non può essere oggetto di agevolazione fiscale ( detta anche  decommercializzazione ) e non rientra di regola nella sfera di applicazione delle norme agevolative  (  C.M. n.12/09 e,  C.M. n. 124/98).

Va da se che, ai fini del diritto al godimento delle agevolazioni fiscali, l’avvenuto perfezionamento del tesseramento dovrà essere effettuato  in momento antecedente a quello di pagamento del servizio reso.

info e richieste

 


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Contratto collaborazione A.S.D. e no profit


Contratto collaborazione A.S.D e no profit

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I contratti  di collaborazione e di lavoro sono sempre una questione delicata nelle A.S.D. e nelle S.S.D. poiché il mondo sportivo dilettantistico ha le sue regole, diverse da altre tipologie di attività no profit e imprenditoriali.

Premesso che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, il ministero del lavoro ha confermato nel 2015 ( D.L. 81) con il predetto decreto, che dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Ma, segue, ha indicato anche alcune fattispecie derogatorie, tra le quali rientrano:

le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.


Questo ha determinato che attraverso gli interpelli, il  CONI e l’associazione dei consulenti del lavoro  hanno chiesto alla Direzione Generale del Ministero del Lavoro se la norma sia applicabile anche per il CONI, le Federazioni Sportive Nazionali e le discipline associate ed Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.

Il Ministero nella sua riposta, fa presente che esistono altre norme agevolative per il mondo sportivo dilettantistico come ad esempio l’ art. 67, lett. m), T.U.I.R. ( prestazioni esonerate  da Irpef fino a € 7.500 etc ) che ben recepisce   la volontà del legislatore di favorire lo svolgimento di tutte le attività sportive dilettantistiche.

Pertanto dalla lettura delle disposizioni se ne conclude che nell’art 2  al comma 2 del  D.Lgs. n. 81/2015 debbano essere ricomprese non solo le collaborazioni coordinate e continuative rese in favore delle Associazioni sportive e delle Società sportive dilettantistiche ma anche quelle rese in favore del CONI, delle Federazioni Sportive nazionali, delle discipline associate e degli Enti di promozione sportiva”.

E’ estremamente importante per gli organi direzionali di un’associazione (ASD) o di una società sportiva (SSD) capire con esattezza quali sono i limiti e le implicazioni che una diversa attività che viene svolta all’interno dell’associazione possa o meno essere considerata (dal prestatore o dalla legge) un rapporto di collaborazione , di lavoro o un’attività di semplice volontariato. Questo per la particolare natura dell’attività sportiva dilettantistica e nel no profit e l’ambito in cui esse si muovono.

L’applicazione delle norme che disciplinano i contratti lavorativi non è davvero semplice quando parliamo di associazioni, sportive e no profit nelle quali possiamo trovare attività di volontariato, rapporti di lavoro subordinato, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, rapporti di lavoro autonomo professionale, rapporti di agenzia e rappresentanza, rapporti di lavoro autonomo occasionale, rapporti di lavoro occasionale “accessorio” senza contare i compensi sportivi che possono includere indennità di trasferta, rimborsi forfettari di spesa, premi e compensi erogati a sportivi dilettanti e a collaboratori amministrativi non professionisti di A.S.D..

Attività di volontariato
Questa attività viene di norma svolta per propria scelta da una persona in modo spontaneo e secondo la propria volontà, cosi come previsto dalla legge 266/1991: “ intendiamo per volontariato l’attività prestata in modo personale spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”. Il volontario potrà percepire  dei rimborsi spese per attività particolari svolte per l’Associazione ed entro un limite stabilito dall’Associazione stessa; per questo è necessario e  opportuno a tutela degli organi direzionali far compilare al  volontario, prima che inizi la sua prestazione, una certificazione in cui dichiara, oltre ai propri dati personali, che l’attività svolta viene fornita a titolo gratuito e volontario e che viene svolta sotto la sua personale responsabilità.

Contratti di lavoro subordinato

Sono i normali contratti di lavoro per i quali si applicano  le comuni regole derivanti da un C.C.N.L. contratto collettivo con la specifica caratteristica che il lavoratore è  assoggettato al potere direttivo e subordinato nella varie forma contrattuali previste secondo le esigenze dell’Associazione (contratto a tempo determinato, indeterminato o parziale) e conseguente stabile inserimento nell’organizzazione associativa, sicurezza della continuità della prestazione, osservanza di un orario, mensilità previste, TFR, retribuzione fissa mensile e pagamento dei contributi previdenziali previsti ( presso INPS o ENPALS in relazione alla tipologia di lavoro prestato).

Contratto  di collaborazione coordinata e continuativa
Si tratta di un rapporto caratterizzato dall’ assenza di vincolo di subordinazione e una stretta autonomia del collaboratore dell’Associazione nello svolgimento dell’attività, continuità e coordinamento con inserimento nell’attività associativa per specifiche situazioni oggettive e con una retribuzione legata al raggiungimento di una prestazione autonoma; il compenso viene pattuito determinando tempi e modalità di pagamento con coordinamento previsto in base alle esigenze aziendali. Di solito sono legati a professioni intellettuali di soggetti non  iscritti  ad albi e non in possesso di partita IVA, a compensi  dei i membri di organi direttivi o per particolari prestazioni legate a fini istituzionali per conto di associazioni e società sportive riconosciute dal CONI.

Prestazioni di lavoro occasionale
Queste ultime sono autonome e  accessorie e non possono superare i limiti prestabiliti per legge ovvero una durata complessiva della prestazione non superiore a  trenta giorni  nell’anno e un  compenso complessivo lordo ( al lordo della ritenuta d’acconto) che non dovrà superare euro  5.000,00.

Contratti  di lavoro per sportivi professionisti

Si tratta di una particolare tipologia di contratto di lavoro ( contratto per sportivo professionista) che è stato  disciplinato dalla legge 91/1981 e prevede degli ambiti di applicazione relativi a: continuità dell’attività sportiva, onerosità, qualificazione attribuita dalla federazione competente (FIGC , FIP, FIC, FIM, FPI, FIG). La particolare tipologia di contratto è stipulabile  solo tra  uno sportivo professionista e una società sportiva che è costituita sotto forma di S.r.l. o S.p.a. questo perché la normativa prevede che chi fa attività sportiva professionista ha l’obbligo di costituirsi in una sola delle due forme previste ( SRL o SPA) e deve obbligatoriamente adottare questo contratto per  le prestazioni degli atleti poiché c’è la presunzione assoluta ovvero l’esclusività del rapporto di lavoro mentre per chi fa attività di sportivo dilettantistico è possibile usufruire dei contratti sportivi a questi dedicati con il limite minimo dei 7.500,00 per il quale non è prevista la tassazione di alcun tipo e successivamente con la sola applicazione dell’I.R.P.E.F. nella misura fissa del 23% e le addizionali regionali e comunali.

I Voucher -lavoro accessorio ( soppressi nel 2017)

Si tratta di una particolare modalità di prestazione lavorativa finalizzata a  regolamentare alcune  prestazioni lavorative, ( le prestazioni accessorie),  che non sono riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario, e a tutelare situazioni non regolamentate. ( soppressi con  D.L. 25 del 17 marzo 2017)
Il meccanismo prevede un pagamento del lavoratore  attraverso dei  ‘buoni lavoro’ ( appunto voucher) che hanno un valore netto  pari al 75% ( un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro  netto corrispondente  al compenso minimo di un’ora di prestazione).

In questo modo viene tutelato il lavoratore garantendo  la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL ma non  si ha  diritto alle prestazioni a sostegno del reddito dell’INPS  come ad esempio la disoccupazione, la  maternità,  la malattia e gli  assegni familiari ecc. ma viene  riconosciuto ai fini del diritto alla pensione.

Una ultima modifica alla disciplina del lavoro accessorio (art. 1, di modifica del d.l. n. 81 del 2015) prevede : la norma dispone che, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio retribuita con voucher, al competente Ispettorato nazionale del lavoro vengano comunicati mediante sms o posta elettronica i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione con previsione di sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ciascun lavoratore con riferimento al quale è stata omessa la comunicazione.

Ma la nuova norma non è applicabile alle associazioni sportive dilettantistiche, condomini e  associazioni senza scopo di lucro).

info e commenti

 


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App rilevazione presenze: si del garante privacy

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App rilevazione presenze: si del garante privacy

 

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Con l’avvento della geolocalizzazione è ora possibile visualizzare tutti i dati relativi alle presenze dei propri dipendenti , direttamente attraverso l’utilizzo del proprio iPhone, iPod Touch o Smartphone Android con i dettagli anagrafici, le timbrature e risultati di elaborazione, l’elenco dei dipendenti presenti o assenti in azienda in tempo reale potendo così avere  il pieno controllo della situazione in azienda in tempo reale ovunque si trovi. Si tratta di nuovi meccanismi di rilevazione presenze in Outsourcing a rilevazione delle presenze sul lavoro tramite lo smartphone dei dipendenti. Ovviamente una innovazione del genere doveva fare i conti con la privacy ma in questi giorni c’è stato il via libera del Garante della Privacy alla geolocalizzazione dei dipendenti da parte delle aziende, ma solo con adeguate misure a tutela dei lavoratori. L’innovazione trova una crescente utilità anche e soprattutto perché permette all’azienda di gestire al meglio la organizzazione del lavoro, soprattutto per i dipendenti, ai quali non è assegnata una scrivania ma che per espletare il proprio lavoro sono chiamati a spostarsi al di fuori del perimetro fisico della propria sede lavorativa.

Ovviamente questo si traduce in una intrusione involontaria nella sfera della riservatezza del lavoratore perché  permette, per le sue caratteristiche, un trattamento dei dati personali che se non avviene in conformità con quanto stabilito dalla normativa di settore, rischia di violare la privacy del dipendente.

Il Garante è stato chiamato a pronunciarsi ( provvedimento del 8.9.2016, n. 350) in relazione alla richiesta avanzata da due società che hanno chiesto la possibilità di far istallare ai propri dipendenti una app sugli smartphone di loro proprietà, ai fini della rilevazione di inizio e fine dell’attività lavorativa; i dipendenti infatti sono impiegati presso altre ditte e  svolgono sistematicamente attività fuori sede.

Quali sono quindi i requisiti necessari per la gestione delle presenze tramite app?

L’applicazione che permette la timbratura tramite geolocalizzazione deve rispondere a determinati parametri che comprendono un accesso con autenticazione personale ( user id e password) per poi successivamente cliccare l’ingresso che corrisponderà all’inizio dell’attività lavorativa e l’uscita per indicare la fine della giornata lavorativa.

L’app , precia attivazione, fornirà quindi  al lavoratore il nome e cognome che è stato registrato in modo da confermare la sua identità e lo informa del raggio di approssimazione di lettura della posizione fisica che verrà associata alla timbratura.

L’applicazione utilizzata, inoltre, “non dovrà accedere a tutte le altre  informazioni presenti nello smartphone del dipendente; le finalità perseguite attraverso l’adozione del descritto sistema, accomunate dall’obiettivo di conseguire risparmi di costi e maggiore efficienza, consisterebbero nella realizzazione di una “più efficace modalità di timbratura.

L’azienda che utilizza l’applicazione dovrà integrare adeguatamente l’informativa attualmente presentata ai lavoratori per inserire queste situazioni e garantire che sebbene venga prevista una funzione di geolocalizzazione, questa non permetterà alcun controllo dell’attività lavorativa.
I dati relativi alla timbratura virtuale  vengono raccolti e archiviati da un’altra società previamente nominata responsabile del trattamento degli stessi.

Ma quali sono i dati trattati?

I dati personali trattati sul dispositivo dei dipendenti saranno i seguenti :

identificativo del dipendente,
orario di entrata,
luogo di timbratura,
orario di uscita,
dispositivo tramite il quale viene effettuata la timbratura
l’applicativo “non consente il tracciamento, momento per momento, del dipendente”.

Scopo ulteriore dell’applicativo è quello di fornire una maggiore tutela al lavoratore, che si vedrà conteggiate e retribuite tutte le ore effettivamente lavorate, comprese le ore di straordinario; inoltre in caso di infortunio che avvenga dopo la firma di presenza,  nuovo sistema consentirà una corretta ed efficiente gestione degli infortuni sul lavoro.

Il Garante, alla luce di quanto esposto dalle società ha stabilito che il trattamento dei dati personali dei dipendenti, possa essere effettuato mediante il descritto applicativo purché le società adottino quali misure necessarie, per l’utilizzo del sistema:

  • la cancellazione del dato relativo alla posizione del lavoratore, avendo verificato preventivamente l’associazione tra le coordinate geografiche della sede di lavoro e la posizione del lavoratore, conservando, eventualmente, il solo dato relativo alla predetta sede di lavoro, alla data e all’orario cui si riferisce la timbratura;
  • configurino il sistema in modo tale che sul dispositivo sia posizionata un’icona che indichi che la funzionalità di localizzazione è attiva;
  • adottino specifiche misure idonee a garantire che l’applicativo installato sul dispositivo del dipendente non possa effettuare trattamenti di dati ultronei (es. dati relativi al traffico telefonico, agli sms, alla posta elettronica o alla navigazione in internet o altro).

Il Garante, inoltre, ha prescritto alle società di perfezionare il sistema nella prospettiva della “privacy by design”, applicando il principio di necessità e anche alla luce dei possibili errori nell’accuratezza dei sistemi di localizzazione.

Altre violazioni: altra cosa importante è la configurazione del sistema di posta elettronica: non deve essere possibile in particolare la conservazione di copia della corrispondenza anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro per un tempo non proporzionato (ovvero per anni).

Conseguentemente alla cessazione del rapporto di lavoro infatti tutti gli account di posta elettronici in uso al dipendente debbono  essere rimossi, previa disattivazione degli stessi e contestuale adozione di sistemi automatici per informare i terzi e fornire loro indirizzi alternativi riferiti all’attività professionale del titolare del trattamento. ( Possibile mantenere un messaggio per reindirizzare l’utente alla nuova casella di posta elettronica che  sostituisce la precedente in uso al dipendente dismesso)

Non è conforme ai principi di necessità, pertinenza e non eccedenza la conservazione per anni su server aziendali sia dei dati esterni che dei contenuti delle comunicazioni elettroniche effettuate dal dipendente dismesso al fine.

Per concludere è bene ricordare che il datore di lavoro è sempre tenuto a salvaguardare la libertà e la dignità del lavoratore in ogni forma e contesto e, in applicazione dei principi di liceità e correttezza dei trattamenti di dati personali, informare in modo chiaro e dettagliato circa le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali che sono consentite e l’eventuale effettuazione di controlli anche su base individuale.


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Con l’avvento di internet sono sempre più frequenti gli acquisti di beni o servizi da parte di imprese italiane verso fornitori esteri residenti nella U.E. La convenienza è anche data dal fatto che oltre a un costo quasi sempre inferiore, si ottiene il vantaggio della non applicazione dell’ l’VA che grava in genere per il 22% del totale e questo, soprattutto in un  periodo di grossa crisi di liquidità è sicuramente un elemento molto appetibile per le imprese. Ma per fare acquisti in Paesi della U.E. e ottenere la non applicazione dell’IVA  è necessaria l’iscrizione al VIES.

L’acronimo VIES significa Vat Information Exchange System. E’ un sistema studiato dalla U.E. per monitorare le transazioni commerciali all’interno dei paesi dell’Unione Europea e consente a tutti gli intestatari di partita IVA di entrare nel circuito dei soggetti a cui è possibile emettere fattura senza applicazione di IVA.

Il sistema visibile a questo indirizzo  permette di verificare se il proprio fornitore ( o cliente) è debitamente autorizzato a contrarre operazioni comunitarie quindi è consentita la visura del soggetto indicando semplicemente stato estero di appartenenza e partita IVA comunitaria ( partita IVA + suffisso del paese es per Italia= IT) come risulta dalla presentazione.

Negli altri paesi U.E. l’iscrizione si ottiene in automatico e in maniera definitiva richiedendo la partita IVA mentre in Italia i dati delle imprese vengono letteralmente “oscurati” finché non si produce richiesta per l’attivazione del VIES e solo in quel momento in automatico si entra nel circuito.

Cosa significa nella pratica? Che se effettuate un ordinativo in un paese U.E. chiedendo la non applicazione IVA, il vostro fornitore estero farà una ricerca nel VIES e non trovandovi penserà che non siete ufficialmente iscritti al fisco italiano e non vi fornirà la merce o il servizio. Pertanto se pensate di  vole effettuare qualsiasi operazione comunitaria ( è sufficiente l’acquisto di un antivirus) dovrete obbligatoriamente richiedere l’iscrizione al VIES  e richiederla di nuovo se avete avuto un periodo di inattività consistente.

In questo modo, il fisco italiano potrà monitorare le operazioni comunitarie avvenute allo scopo di garantire una corretta gestione della normativa ed evitare elusioni o evasioni fiscali.

Hai bisogno del VIES? Richiedi l’iscrizione in convenzione

Gli archivi VIES funzionano come una grandissima banca dati digitale nella quale le informazioni aggiornate in tempo reale dalle amministrazioni nazionali diventano verificabili in tutti gli altri paesi membri.
automatica.
Con le nuove normative di semplificazione è possibile richiedere l’inclusione nel VIES al momento della presentazione della dichiarazione di inizio attività o anche successivamente con una comunicazione telematica .

ATTENZIONE:  anche se l’iscrizione è immediata è necessario porre molta attenzione alla cancellazionedal circuito VIES che avviene d’ufficio in caso di mancata presentazione dei modelli Intrastat per 4 trimestri consecutivi

Le semplificazioni aiutano le imprese! Infatti, precedentemente, era necessario attendere 30 giorni dalla richiesta per poter porre in essere operazioni intracomunitarie, in modo che l’Agenzia delle entrate effettuasse i doverosi opportuni controlli ma ora con l’emanazione del decreto semplificazioni (d.lgs. 174/2015) viene eliminato il periodo di sospensione e le imprese  possono effettuare operazioni intracomunitarie già a partire dal momento della richiesta. I controlli che finora venivano effettuati in via preventiva verranno, ora effettuati successivamente, permettendo all’impresa di operare immediatamente anche operazioni urgenti di reperimento delle merci o servizi necessari all’esecuzione della propria attività.

L’iscrizione VIES passa per due diverse modalità  di esecuzione  a seconda che il soggetto passivo IVA inizi l’attività e debba pertanto presentare la dichiarazione di inizio attività, o sia già attivo e sia quindi già in possesso di partita IVA.

Chi inizia l’attività dovrà compilare il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 per i soggetti diversi dalle persone fisiche oppure AA9 per le imprese individuali e i lavoratori autonomi.

Invece  i soggetti già operativi ( possesso di partita IVA) devono utilizzare le  modalità telematiche;

  • direttamente se abilitati ad Entratel o Fisconline;
  •  tramite un intermediario abilitato.

Non è più possibile chiedere l’iscrizione al VIES mediante presentazione di istanza cartacea ad un qualsiasi Ufficio dell’Agenzia delle Entrate direttamente, a mezzo raccomandata o digitalmente tramite P.E.C.

L’opzione esercitata ha effetto immediato, ( apertura IVA o ricezione telematica).

Il nostro consiglio è quello di verificare sempre l’inclusione collegandosi al sito VIES e inserendo i propri dati sia come richiedente sia come ricerca operatore stato membro.

Con il comunicato stampa del 9 gennaio 2015 l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’iscrizione al VIES è gratuita, e che nessuna somma viene richiesta da parte del fisco per accedere in banca dati VIES né per ottenere la pubblicazione del numero di partita Iva.

Ovviamente l’adempimento effettuato dall’operatore stesso nell’iscriversi a Fisconline o  Entrale ovvero nel richiedere l’apertura della partita IVA non ha costi da parte dell’Agenzia mentre gli stessi servizi che vengono richiesti ad un intermediario telematico autorizzato seguono una tariffa professionale prevista quale consulenza e adempimento esterno.

Cancellazione VIES d’ufficio

Il decreto semplificazioni ha introdotto una nuova ipotesi di esclusione dal VIES, nel caso in cui l’operatore non presenti, per quattro trimestri consecutivi, i modelli Intrastat.

Cosa accade quindi: se  acquisto una volta l’anno l’antivirus è molto probabile che non effettuerò altre operazioni e quindi rischio di essere cancellato in automatico. Quando andrò ad acquistare di nuovo l’antivirus probabilmente non sarò più nell’elenco e dovrò iscrivermi di nuovo per essere in regola.

Ovviamente la competente Direzione provinciale dovrà comunque inviarmi preventivamente un’apposita comunicazione in cui mi informa che sta per cancellarmi dall’elenco.

ATTENZIONE: la cancellazione dal VIES ha effetto dal 60° giorno successivo alla data di  questa  comunicazione.

Nel periodo intercorrente tra il ricevimento della comunicazione e la cancellazione, è possibile per l’operatore rivolgersi all’Agenzia delle Entrate competente  per fornire i chiarimenti e le spiegazioni della mancata presentazione degli elenchi (Circolare ADE 31/E/2014).

Questo perché non è detto che io acquisto l’antivirus solo una volta l’anno ma avrei potuto ad esempio non aver trasmesso il modello Itrastat obbligatorio anche in presenza di regolari operazioni intracomunitarie effettuate.

Quindi se si fanno poche operazioni intracomunitarie annue si dovrà relazionare su questa situazione di fatto e manifestare nuovamente  l’intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie.

Se invece ci si è dimenticati di inviare il modello Intrastat di dovrà sanare la situazione e dimostrare le operazioni effettuate.

La verifica sui quattro trimestri  viene effettuata a partire dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore  del D.Lgs. n. 175/2014).

ATTENZIONE: l’eventuale esclusione d’ufficio dal VIES non è certo un problema definitivo: si potrà ovviamente richiedere un nuovo inserimento nella banca dati, direttamente in via telematica, se abilitato a Fisconline o Entratel, oppure tramite intermediari abilitati e incaricati.

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finanziamenti soci presunzioni del fisco

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Finanziamenti soci: presunzioni del fisco

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Sui versamenti effettuati dai soci per finanziare le società, situazione che nei tempi attuali si verifica con una maggiore frequenza in virtù di una situazione economica difficile, si è detto molto e molteplici sono le interpretazioni.  Oggi vogliamo occuparci di un caso in cui si presuppone l’onerosità dei finanziamenti semplicemente con la rinuncia agli utili; un caso emerso  dalla  recente sentenza n. 17839 la Corte di cassazione che ha legiferato nel senso che:

la rinuncia all’incasso degli utili realizzati configura l’esistenza di un finanziamento fruttifero che legittima la rettifica del reddito e la rideterminazione dell’imposta dovuta

La presunzione di onerosìtà sui versamenti effettuati dai soci sarebbe superata soltanto  nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, cioè dimostrando che dai bilanci o dai rendiconti delle società finanziate emerga che il versamento è stato fatto a titolo diverso dal mutuo.

La sentenza si basa su una verifica della  Guardia di finanza in  cui era stato appurato che i due soci titolari della società avevano rinunciato a incassare gli utili dal 1994 al 2000. La rinuncia agli utili e la mancata destinazione a riserva era stata interpretata dalla GdF come un finanziamento indiretto dei soci stessi a favore della società e pertanto era stata contestata la presunzione di maturazione di interessi attivi sulle somme non distribuite.

Questa tesi è avvalorata dall’articolo 46 del Tuir, quando nel comma 1, prevede che le somme versate alle società commerciali dai loro soci siano considerate date a mutuo “se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo“.

Quindi gli utili non incassati  dai soci costituiscono somme erogate dai soci alla società a titolo di versamenti con la qualifica di “mutuo” e, pertanto, produttive di interessi attivi tassabili a seconda che il socio percettore sia, rispettivamente, una persona fisica o un imprenditore.

La commissione tributaria provinciale prima e la regionale successivamente  hanno accolto il ricorso presentato dai soci e dalla società ritenendo che la presunzione fosse superata dal fatto che la somma non era iscritta a bilancio come mutuo ricevuto dai soci, che non vi erano esigenze finanziarie della società tali da richiedere un mutuo ai soci e che le somme erano state poi reinvestite in obbligazioni fruttifere.

La decisione della suprema Corte
L’Agenzia delle Entrate ha nuovamente proposto ricorso in Cassazione che ha ribadito il principio di diritto per cui la presunzione di onerosità del prestito è vincibile soltanto nei modi e nelle forme tassativamente stabilite dalla legge, in particolare dimostrando che i bilanci allegati alle dichiarazioni dei redditi della società contemplavano un versamento fatto a titolo diverso dal mutuo. Pertanto, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva). Nel ricorso in Cassazione presentato dall’Agenza delle Entrate, i giudici di legittimità, respingevano la decisione di appello ritenendo insufficiente il solo dato dell’assenza di bisogni finanziari della società come elemento a dimostrazione del fatto che non si trattasse di un finanziamento.

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regime fiscale biglietti parchi divertimento open

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Il regime fiscale  dei biglietti open  dei parchi divertimento.

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I parchi divertimento emettono biglietti di ingresso che normalmente sono riferibili al giorno stesso in cui si accetta l’entrata dei clienti e valgono per lo stesso giorno di riferimento perdendo quindi validità alla chiusura del parco nel giorno stesso di emissione. esistono però dei biglietti cosiddetti “open” ovvero a data aperta che vengono emessi senza indicare la data di scadenza del biglietto stesso che normalmente coincide ( ma non sempre) con l’ultimo giorno di apertura del parco riferibile a quella determinata stagione. A volte i biglietti vengono emessi anche per più stagioni e la loro validità continua fino a quando il biglietto non viene validato dal cliente che lo acquista entrando al parco o per scadenza della validità stessa.

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L’agenzia delle entrate è intervenuta recentemente con la risoluzione n. 86 del 30 settembre 2016 rispondendo a un quesito formulato per il fatto che i biglietti a data libera per l’ingresso ai parchi di divertimento vengano solitamente commercializzati dagli operatori del settore mediante la prestampa dei titoli e la consegna degli stessi a terzi (edicole, stabilimenti balneari, esercizi commerciali, pubblici esercizi, ecc.) incaricati della prevendita nell’arco dell’intera stagione di apertura del parco.

La domanda sorta riguardava l’annullamento di questi biglietti in relazione alle istruzioni fornite dall’Agenzia delle entrate con risoluzione n. 276/E del 2 ottobre 2007 che testualmente prevede che i biglietti siano annullabili entro cinque giorni lavorativi dal primo evento teoricamente fruibile. Osservando queste prescrizioni contenute nella norma in pratica i biglietti a data aperta con libero accesso ai parchi di divertimento sarebbero annullabili entro cinque giorni dall’inizio della stagione di apertura del parco (anziché dalla fine della stessa).

L’applicazione alla lettera della norma in questi termini limiterebbe di fatto la libera circolazione dei biglietti a data aperta presso i rivenditori abilitati che non accetterebbero il rischio d’impresa così ravvicinato ( pensiamo solo ai venditori on line come Groupon, Groupalia etc) ma anche alle tabaccherie, edicole e via dicendo che avrebbero un tempo veramente esiguo per gestire la rivendita.

In questo modo infatti solo  le rivendite alle casse dei parchi stessi potrebbero gestire i biglietti open con enorme danno per i parchi stessi la cui rivendita esterna costituisce un importante elemento di sviluppo del business imprenditoriale.

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L’Agenzia delle Entrate ha preliminarmente osservato che i  biglietti di ingresso ai parchi divertimento a data libera ( biglietti open) consentono allo spettatore di scegliere il giorno di accesso al parco nell’arco del periodo di apertura del parco stesso o, comunque, in un determinato arco temporale di fruibilità del titolo. Relativamente a tale formula di ingresso, con risoluzione n. 88/E del 12 giugno 2001, è stato chiarito che il pagamento del corrispettivo per una manifestazione di spettacolo non predeterminata richiede, ai fini fiscali, comunque l’emissione di un titolo di accesso, che per le sue peculiari caratteristiche deve essere assimilato, agli effetti della determinazione del momento impositivo e degli adempimenti e delle modalità di certificazione, ad un abbonamento a data libera.

Da tale assimilazione discende che, per i titoli c.d. “open”, il momento impositivo si realizza all’atto del pagamento del corrispettivo e all’atto dell’ingresso al parco vi è l’obbligo di emissione di un successivo titolo di accesso.

In merito ai termini per l’anullamento di questi biglietti, il quinto giorno lavorativo successivo a quello dell’evento va individuato nel quinto giorno lavorativo successivo all’ultimo giorno in cui è consentito l’accesso al parco mediante il titolo stesso.

In relazione all’emissione dei titoli in questione, si ritiene necessaria, da parte dell’organizzatore (l’esercente il parco di divertimento), tanto la preventiva individuazione del titolo (con relativa indicazione della dicitura “OPEN” prestampata), quanto la precisazione del periodo di utilizzabilità del titolo da parte dello spettatore (deve essere quindi operata l’indicazione dell’ultimo giorno in cui è utilizzabile il titolo). In particolare, l’indicazione dell’ultimo giorno in cui è utilizzabile il biglietto  “open” non potrà eccedere i dodici mesi dalla data di emissione dello titolo stesso o la durata della stagione di apertura del parco.

Viene evidenziato inoltre, che dovranno essere rispettate tutte le altre previsioni relative all’emissione dei titoli di accesso previste dal citato decreto 13 luglio 2000, dal citato Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 luglio 2001 e dagli altri atti e provvedimenti vigenti, e cioè i titoli dovranno essere valorizzati:

come abbonamenti;
con l’indicazione del codice punto vendita (se valorizzato dal titolare) e, nella prestampa, con la dicitura “emesso per la vendita da parte di…” (art. 3, comma 1, lett. l del Decreto Ministeriale 13 luglio 2000);
nel “tipo turno”, con il valore “L” (abbonamento a turno libero);
nel “numero eventi abilitati”, con il numero “1”;
nel campo “data limite di validità”, con la data dell’ultimo evento fruibile;
nel “codice abbonamento”, con la dicitura “OPEN”.

In merito alla rendicontazione di questi biglietti ai fini della determinazione del momento impositivo viene inoltre chiarito che, ove i riepiloghi di cui al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 23 luglio 2001 relativi ai proventi degli abbonamenti dovessero riportare come venduti i titoli c.d. “open” ma questi siano stati, invece, soltanto emessi per la consegna ad un terzo per la successiva distribuzione e, quindi, non vi sia stato ancora il pagamento del corrispettivo:

gli esercenti devono trasmettere i riepiloghi in questione
la SIAE deve scartare da detti riepiloghi i corrispettivi indicati a fronte dei titoli c.d. “open” e comunicare mensilmente agli esercenti i parchi di divertimento il corretto volume d’affari acquisito relativo agli abbonamenti diversi da quelli c.d. “open”;
con analoga cadenza mensile, gli esercenti devono provvedere a comunicare a SIAE il riepilogo mensile dei soli titoli c.d. “open” per i quali risulta avvenuto il pagamento del corrispettivo.

Inoltre il biglietto “open” annullato deve essere conservato integro n tutte le sue parti e che l’esercente il parco di divertimento sarà tenuto al versamento dell’IVA in relazione ai titoli di accesso “open” rimasti invenduti al termine della stagione per i quali non abbia tempestivamente provveduto all’annullamento nel termine, sopra indicato, del quinto giorno lavorativo successivo all’ultimo giorno in cui è consentito l’accesso al parco mediante i titoli stessi.
I chiarimenti sopra forniti non riguardano i titoli emessi in forma digitale i quali non possono essere annullati in ipotesi diverse da quelle di erronea emissione o di mancata effettuazione dell’evento.

In base  a tutti i chiarimenti intervenuti i Parchi divertimenti dovranno quindi adottare sistemi specifici per far si che l’emissione di un biglietto “open” abbia delle caratteristiche ben specifiche sia riguardo alla data di validità dello stesso che non potrà comunque eccedere l’anno di  emissione  sia tutte le caratteristiche specificate ivi incluso il fatto che il biglietto debba essere convertito nel momento in cui l’utilizzatore decida di usufruirne.

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